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Trasferimento: verifica della legittimità estesa alla sede di destinazione

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 28 gennaio 2016, n.1608, ha ritenuto che il controllo giurisdizionale delle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive che legittimano il trasferimento del lavoratore deve essere diretto ad accertare che vi sia corrispondenza tra il provvedimento adottato dal datore di lavoro e le finalità tipiche dell’impresa, discende che tale accertamento non può essere limitato alla situazione esistente nella sede di provenienza, ma deve estendersi anche alla sede di destinazione del lavoratore, restando a carico del datore di lavoro l’onere di provare la sussistenza di dette ragioni: ne consegue che deve essere annullata con rinvio la sentenza di merito che conferma la legittimità del trasferimento del dipendente esponendo con motivazione adeguata, coerente e priva di vizi solo le ragioni che impedivano alla società datrice di potere impiegare il lavoratore nelle sedi più vicine alla residenza di quest’ultimo, senza dare assolutamente conto delle ragioni inerenti la scelta della sede di destinazione e senza accertare se vi fosse corrispondenza tra il provvedimento adottato dal datore di lavoro e le finalità tipiche dell’impresa, tenuto conto delle mansioni.

Trasferimento e demansionamento: onere della prova a carico del lavoratore

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 25 settembre 2015, n.19044, ha stabilito che è onere della prova del ricorrente dimostrare che, a seguito del trasferimento da un ufficio a un altro da parte della Società, egli abbia subito un danno da demansionamento.

Secondo la Suprema Corte, infatti, il lavoratore deve dimostrare che vi sia stata l’effettiva diminuzione di caratura secondo un raffronto tra le mansioni svolte prima e quelle che si è trovato a svolgere in seguito, allegando altresì l’eventuale perdita di chance di ulteriore progressi nella carriera professionale.

Resta onere del datore di lavoro dimostrare di aver adempiuto secondo gli obblighi a lui spettanti, ma tale onere sussiste solo ove il dipendente abbia allegato sufficienti elementi che dimostrino la dequalificazione o demansionamento.

Ciò osservato, la Cassazione ha rigettato il ricorso in quanto, non essendo dimostrato il demansionamento, veniva altresì meno la tesi del movente discriminatorio del trasferimento e del mutamento di mansioni – peraltro il carattere persecutorio è stato negato dai testi.

Rifiuta mansioni superiori per evitare trasferimento: no al licenziamento

È illegittimo il licenziamento disciplinare del dipendente che rifiuta di prendere servizio nella sede dove è stato trasferito, ma che è disposto a rinunciare alle mansioni superiori pur di rimanere nello stesso ufficio. Propendono a favore della scelta del lavoratore anche le comprovate difficoltà per motivi fisici di raggiungere la nuova destinazione molto lontana da casa.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 15 luglio 2015, n.14829, confermando la nullità del licenziamento intimato per prolungata assenza del lavoratore presso la nuova sede lavorativa, in quanto l’assenza era dovuta al rifiuto del dipendente al trasferimento per motivi di salute. I giudici non si sono limitati a constatare il motivo del rifiuto, ma anzi hanno valutato come elemento dirimente la disponibilità del lavoratore a rinunciare alle mansioni superiori a cui sarebbe dovuto essere adibito per pronuncia giudiziale, al fine di mantenere la sede lavorativa ove non vi era possibilità di espletare tali mansioni.