Archivi tag: licenziamento

Giusta causa: entità del fatto valutata sotto il profilo della futura correttezza

MODESTA ENTITA’  DEL FATTO E GIUSTA CAUSA

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 12 ottobre 2017, n. 24014, ha stabilito che, ai fini dell’accertamento della legittimità della giusta causa, la modesta entità del fatto può essere ritenuta non tanto con riferimento alla tenuità del danno patrimoniale, quanto in relazione all’eventuale tenuità del fatto oggettivo, sotto il profilo del valore sintomatico che lo stesso può assumere rispetto ai futuri comportamenti del lavoratore e, quindi, alla fiducia che nello stesso può nutrire l’azienda, essendo necessario al riguardo che i fatti addebitati rivestano il carattere di grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro e, specialmente, dell’elemento essenziale della fiducia, cosicché la condotta del dipendente sia idonea a porre in dubbio la futura correttezza del suo adempimento.

DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE:

La Suprema Corte ha confermato il licenziamento dell’addetto a un supermercato che aveva tentato di sottrarre beni per un valore inferiore a 10 euro: il dimostrato carattere fraudolento, palesemente doloso e premeditato, della condotta del lavoratore è stato ritenuto sintomatico della sua, anche prospettica, inaffidabilità e, come tale, idoneo a incidere in maniera grave e irreversibile sull’elemento fiduciario, nonostante la modesta entità del danno patrimoniale e la mancanza di precedenti disciplinari.

Diritto del lavoro

Rito lavoro: ammissione di nuove prove in giudizio

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 19 aprile 2017, n. 9866, ha ricordato che, nel rito del lavoro, il verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti non osta all’ammissione d’ufficio delle prove, trattandosi di potere diretto a vincere i dubbi residuati dalle risultanze istruttorie, ritualmente acquisite agli atti del giudizio di primo grado e che, essendo la “prova nuova” disposta d’ufficio funzionale al solo indispensabile approfondimento degli elementi già obbiettivamente presenti nel processo, non si pone una questione di preclusione o decadenza processuale a carico della parte: ne consegue che è ammissibile in appello la deposizione del testimone a conferma dei verbali di constatazione di assenza dal servizio del lavoratore licenziato per giustificato motivo soggettivo già acquisti al giudizio.

Offende il proprio superiore durante l’orario di lavoro: illegittimo il licenziamento se il C.C.N.L prevede solo una sanzione conservativa

La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza oggi in rassegna, ha stabilito che il dipendente non può essere licenziato per motivi disciplinari, se la condotta è punita dal C.C.N.L. solo con una sanzione conservativa.
Secondo la Suprema Corte, proprio perché quella di giusta causa o giustificato motivo è una nozione legale, le eventuali difformi previsioni della contrattazione collettiva non vincolano il giudice di merito. Egli ha il dovere, in primo luogo, di controllare la rispondenza delle pattuizioni collettive al disposto dell’art. 2106 c.c. e rilevare la nullità di quelle che prevedono, come giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, condotte per loro natura assoggettabili solo ad eventuali sanzioni conservative.
Il giudice non può, invece, fare l’inverso, cioè estendere il catalogo delle giuste cause o dei giustificati motivi soggetti di licenziamento oltre quanto stabilito dall’autonomia delle parti, nel senso che condotte, pur astrattamente ed eventualmente suscettibili di integrare giusta causa o giustificato motivo soggettivo ai sensi di legge non possono rientrare nel relativo novero se l’autonomia collettiva le ha espressamente escluse, prevedendo per esse sanzioni meramente conservative.

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COSTO DEL LICENZIAMENTO PER L’AZIENDA DOPO IL D.LGS. 23/2015 (JOBS ACT) CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI VADEMECUM

ANZIANITA’ DI SERVIZIO DEL LAVORATORE CONCILIAZIONE VOLONTARIA (MENSILITA’ NETTE)

NON COSTITUISCE REDDITO IMPONIBILE

EVENTUALE CONDANNA DELLA SOCIETA’ IN GIUDIZIO

(MENSILITA’ LORDE)

1 2 4
2 2 4
3 3 6
4 4 8
5 5 10
6 6 12
7 7 14
8 8 16
9 9 18
10 10 20
11 11 22
12 12 24
13 13 24
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15 15 24
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17 17 24
18 E> DI 18 18 24

 

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Licenziamento per gmo: non necessario provare andamento economico negativo

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 7 dicembre 2016, n. 25201, ha stabilito che, ai fini della legittimità del licenziamento individuale intimato per giustificato motivo oggettivo, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare e il giudice accertare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, tra le quali non è possibile escludere quelle dirette a una migliore efficienza gestionale ovvero un incremento della redditività dell’impresa, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa; ove però il licenziamento sia stato motivato richiamando l’esigenza di fare fronte a situazioni economiche sfavorevoli ovvero a spese notevoli di carattere straordinario, e in giudizio si accerti che la ragione indicata non sussiste, il recesso può risultare ingiustificato per una valutazione in concreto sulla mancanza di veridicità e sulla pretestuosità della causale addotta dall’imprenditore.

Licenziamento per giusta causa: valutazioni e criteri di giudizio

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 24 novembre 2016, n. 24030, ha stabilito che rientra tra le competenze del giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale, che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto a un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi, innanzitutto, rilievo alla configurazione che delle mancanze addebitate faccia la contrattazione collettiva, ma pure all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte dal dipendente e dalla qualifica rivestita, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto (e in specie alla sua durata e all’assenza o presenza di precedenti sanzioni), alla sua particolare natura e tipologia.

Controllo strumenti di lavoro nel rispetto della privacy del lavoratore

La Cassazione Civile, Sezione Lavoro, con sentenza 3 novembre 2016, n. 22313, ha ritenuto che il datore di lavoro ben possa effettuare controlli mirati al fine di verificare il corretto utilizzo degli strumenti di lavoro, tra cui i personal computer aziendali, ma che nell’esercizio di tale prerogativa occorra rispettare la libertà e la dignità dei lavoratori, nonché, con specifico riferimento alla disciplina in materia di protezione dei dati personali dettata dal Codice della privacy, i principi di correttezza di pertinenza e di non eccedenza, laddove tali controlli possono determinare il trattamento di informazioni personali, anche non pertinenti, o di dati di carattere sensibile: ne consegue che deve essere cassata con rinvio la sentenza di merito che dichiara illegittimo il licenziamento disciplinare senza il controllo fattuale in ordine alle concrete modalità con le quali l’ispezione era stata condotta sul personal computer dell’incolpato, onde accertare la reale consistenza delle attività effettuate e delle richieste degli ispettori, nonché la loro conformità con eventuali policy aziendali.

Repêchage: onere della prova sempre a carico del datore e vicinanza della prova

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 11 ottobre 2016, n. 20436, ha stabilito che l’onere di allegazione e collaborazione da parte del lavoratore in tema di repêchage non deve essere interpretato come una sostanziale inversione dell’onere probatorio, che l’articolo 5, L. 604/1966 pone inequivocabilmente a carico del datore di lavoro, tenendo, peraltro, conto della linea evolutiva della giurisprudenza in tema di onere della prova, che va accentuando il principio della vicinanza della prova, inteso come apprezzamento dell’effettiva possibilità per una parte di offrirla. È palese, infatti, che il lavoratore non ha accesso (o non ne ha di completo) al quadro complessivo della situazione aziendale per verificare dove e come potrebbe essere riallocato, mentre il datore di lavoro ne dispone agevolmente, sicché è più vicino alla concreta possibilità della relativa allegazione e prova. In definitiva, è illegittimo il licenziamento per soppressione del posto di lavoro se il datore non prova l’impossibile repêchage, anche se il lavoratore ha omesso di indicare in quale posizione poteva essere ricollocato in modo utile nell’impresa.

Svolgimento attività personali in orario di lavoro: no al licenziamento

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 26 aprile 2016, n.8236, ha stabilito che per insubordinazione si deve intendere esclusivamente la condotta di colui che rifiuta di ottemperare a una direttiva o a un ordine, giustificato e legittimo, di svolgere una diversa attività o un diverso compito. Pertanto, il dipendente che nell’orario di lavoro e usando strumentazione aziendale esegua attività per conto proprio, non commette insubordinazione, ma piuttosto appropriazione indebita; di conseguenza non può essere licenziato.

Legittimo il licenziamento per giusta causa in caso di insubordinazione

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 23 marzo 2016, n.5576, ha stabilito che è legittimo il licenziamento per insubordinazione del lavoratore che si rivolge all’amministratore con espressioni dal tono minaccioso, se non addirittura ingiurioso, e dal contenuto scortese. A nulla vale che l’atteggiamento del dipendente scaturisca da una serie di sanzioni irrogategli dal datore di lavoro, se gli stessi provvedimenti non sono neppure mai stati impugnati.