La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza oggi in rassegna, ha stabilito che il dipendente non può essere licenziato per motivi disciplinari, se la condotta è punita dal C.C.N.L. solo con una sanzione conservativa.
Secondo la Suprema Corte, proprio perché quella di giusta causa o giustificato motivo è una nozione legale, le eventuali difformi previsioni della contrattazione collettiva non vincolano il giudice di merito. Egli ha il dovere, in primo luogo, di controllare la rispondenza delle pattuizioni collettive al disposto dell’art. 2106 c.c. e rilevare la nullità di quelle che prevedono, come giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, condotte per loro natura assoggettabili solo ad eventuali sanzioni conservative.
Il giudice non può, invece, fare l’inverso, cioè estendere il catalogo delle giuste cause o dei giustificati motivi soggetti di licenziamento oltre quanto stabilito dall’autonomia delle parti, nel senso che condotte, pur astrattamente ed eventualmente suscettibili di integrare giusta causa o giustificato motivo soggettivo ai sensi di legge non possono rientrare nel relativo novero se l’autonomia collettiva le ha espressamente escluse, prevedendo per esse sanzioni meramente conservative.
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Licenziamento per giusta causa: valutazioni e criteri di giudizio
La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 24 novembre 2016, n. 24030, ha stabilito che rientra tra le competenze del giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale, che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto a un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi, innanzitutto, rilievo alla configurazione che delle mancanze addebitate faccia la contrattazione collettiva, ma pure all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte dal dipendente e dalla qualifica rivestita, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto (e in specie alla sua durata e all’assenza o presenza di precedenti sanzioni), alla sua particolare natura e tipologia.
L’inosservanza dell’orario di servizio integra giusta causa
La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 17 maggio 2016, n.10051, ha stabilito che è legittimo il licenziamento per giusta causa del dipendente che ha ripetutamente inosservato l’orario di servizio, in quanto il contratto collettivo applicato prevede per la categoria di quadri un monte ore di lavoro settimanale, pari a 38 ore. Resta fermo che, anche se quadro, il dipendente è sottoposto a un minimo d’obbligo di osservanza. A nulla rileva che nei cedolini paga non sia stato indicato formalmente il numero di ore contrattualmente previsto: non integra un implicito accordo tra lavoratore e datore di lavoro, che esonera il primo dalla osservanza dell’orario contrattualmente stabilito.
Licenziamento illegittimo se il CCNL prevede una sanzione conservativa
La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 30 marzo 2016, n.6165, ha stabilito che il datore di lavoro non può irrogare la sanzione risolutiva del rapporto di lavoro se il contratto collettivo indica per la medesima infrazione una sanzione conservativa. Inoltre i precedenti disciplinari costituiscono solamente uno dei parametri di valutazione e non possono essere utilizzati per definire la gravità dell’infrazione al fine di irrogare il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo. La Suprema Corte ha quindi cassato la sentenza di secondo grado che aveva ritenuto legittimo il licenziamento del lavoratore che, pur essendo in malattia, si era recato sul posto di lavoro e si rivolgeva al datore di lavoro con espressioni sconvenienti e minacciose usando il dialetto locale; per questo tipo di atteggiamento il Csnl, infatti, non prevedeva la sanzione espulsiva.