La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 24 novembre 2016, n. 24030, ha stabilito che rientra tra le competenze del giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale, che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto a un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi, innanzitutto, rilievo alla configurazione che delle mancanze addebitate faccia la contrattazione collettiva, ma pure all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte dal dipendente e dalla qualifica rivestita, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto (e in specie alla sua durata e all’assenza o presenza di precedenti sanzioni), alla sua particolare natura e tipologia.
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Impugnazione licenziamento: il giudice può riconoscere la sanzione conservativa
La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 2 dicembre 2015, n.24540, ha stabilito che, nell’ipotesi in cui il lavoratore fondi l’impugnazione del licenziamento sull’insussistenza del fatto contestato, il giudice può comunque riconoscere l’illegittimità del licenziamento argomentando in ordine all’applicabilità nel caso concreto di una sanzione conservativa. Ai sensi dell’art.18, co.4, L. n.300/70, come modificato dalla L. n.92/12, il giudice è, infatti, tenuto a verificare l’inquadramento del fatto contestato nell’ambito delle condotte punibili con sanzione conservativa con riferimento alle norme del contratto collettivo. Ciò stabilito, la Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d’Appello, la quale aveva riconosciuto che il fatto addebitato alla lavoratrice era punibile con una sanzione conservativa e non con quella espulsiva.