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Giusta causa: entità del fatto valutata sotto il profilo della futura correttezza

MODESTA ENTITA’  DEL FATTO E GIUSTA CAUSA

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 12 ottobre 2017, n. 24014, ha stabilito che, ai fini dell’accertamento della legittimità della giusta causa, la modesta entità del fatto può essere ritenuta non tanto con riferimento alla tenuità del danno patrimoniale, quanto in relazione all’eventuale tenuità del fatto oggettivo, sotto il profilo del valore sintomatico che lo stesso può assumere rispetto ai futuri comportamenti del lavoratore e, quindi, alla fiducia che nello stesso può nutrire l’azienda, essendo necessario al riguardo che i fatti addebitati rivestano il carattere di grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro e, specialmente, dell’elemento essenziale della fiducia, cosicché la condotta del dipendente sia idonea a porre in dubbio la futura correttezza del suo adempimento.

DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE:

La Suprema Corte ha confermato il licenziamento dell’addetto a un supermercato che aveva tentato di sottrarre beni per un valore inferiore a 10 euro: il dimostrato carattere fraudolento, palesemente doloso e premeditato, della condotta del lavoratore è stato ritenuto sintomatico della sua, anche prospettica, inaffidabilità e, come tale, idoneo a incidere in maniera grave e irreversibile sull’elemento fiduciario, nonostante la modesta entità del danno patrimoniale e la mancanza di precedenti disciplinari.

Diritto del lavoro

Mobbing: gli elementi di sussistenza da provare in giudizio

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 14 settembre 2017, n. 21328, ha stabilito che, ai fini della configurazione del mobbing, il ricorrente deve provare in giudizio la sussistenza:

  1. di una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro di lui in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;
  2. l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
  3. il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità;
  4. l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi.

Rito lavoro: ammissione di nuove prove in giudizio

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 19 aprile 2017, n. 9866, ha ricordato che, nel rito del lavoro, il verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti non osta all’ammissione d’ufficio delle prove, trattandosi di potere diretto a vincere i dubbi residuati dalle risultanze istruttorie, ritualmente acquisite agli atti del giudizio di primo grado e che, essendo la “prova nuova” disposta d’ufficio funzionale al solo indispensabile approfondimento degli elementi già obbiettivamente presenti nel processo, non si pone una questione di preclusione o decadenza processuale a carico della parte: ne consegue che è ammissibile in appello la deposizione del testimone a conferma dei verbali di constatazione di assenza dal servizio del lavoratore licenziato per giustificato motivo soggettivo già acquisti al giudizio.

Offende il proprio superiore durante l’orario di lavoro: illegittimo il licenziamento se il C.C.N.L prevede solo una sanzione conservativa

La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza oggi in rassegna, ha stabilito che il dipendente non può essere licenziato per motivi disciplinari, se la condotta è punita dal C.C.N.L. solo con una sanzione conservativa.
Secondo la Suprema Corte, proprio perché quella di giusta causa o giustificato motivo è una nozione legale, le eventuali difformi previsioni della contrattazione collettiva non vincolano il giudice di merito. Egli ha il dovere, in primo luogo, di controllare la rispondenza delle pattuizioni collettive al disposto dell’art. 2106 c.c. e rilevare la nullità di quelle che prevedono, come giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, condotte per loro natura assoggettabili solo ad eventuali sanzioni conservative.
Il giudice non può, invece, fare l’inverso, cioè estendere il catalogo delle giuste cause o dei giustificati motivi soggetti di licenziamento oltre quanto stabilito dall’autonomia delle parti, nel senso che condotte, pur astrattamente ed eventualmente suscettibili di integrare giusta causa o giustificato motivo soggettivo ai sensi di legge non possono rientrare nel relativo novero se l’autonomia collettiva le ha espressamente escluse, prevedendo per esse sanzioni meramente conservative.

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COSTO DEL LICENZIAMENTO PER L’AZIENDA DOPO IL D.LGS. 23/2015 (JOBS ACT) CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI VADEMECUM

ANZIANITA’ DI SERVIZIO DEL LAVORATORE CONCILIAZIONE VOLONTARIA (MENSILITA’ NETTE)

NON COSTITUISCE REDDITO IMPONIBILE

EVENTUALE CONDANNA DELLA SOCIETA’ IN GIUDIZIO

(MENSILITA’ LORDE)

1 2 4
2 2 4
3 3 6
4 4 8
5 5 10
6 6 12
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8 8 16
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13 13 24
14 14 24
15 15 24
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17 17 24
18 E> DI 18 18 24

 

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Busta paga: ha valore di prova se chiara e non contraddittoria

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 30 gennaio 2017, n. 2239, ha deciso che la busta paga ha valore di piena prova circa le indicazioni in essa contenute solo quando sia chiara e non contraddittoria; diversamente, ove in essa risulti l’indicazione di altri fatti tendenti a estinguere gli effetti del credito del lavoratore riconosciuto nel documento (nella specie l’indicazione di un controcredito del datore di lavoro per risarcimento del danno), essa è una fonte di prova soggetta alla libera valutazione del giudice, che dovrà estendersi al complesso dei fatti esposti nel documento

Risarcibilità del danno non patrimoniale

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 18 gennaio 2017, n. 1185, ha deciso che il danno non patrimoniale è risarcibile solo ove sussista da parte dell’asserito danneggiato l’allegazione degli elementi di fatto dai quali si può desumere l’esistenza e l’entità del pregiudizio subito. Tale onere di allegazione va compiuto in modo circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte o ipotetiche: il danno non patrimoniale, anche nel caso di lesioni di diritti inviolabili, non può mai ritenersi in re ipsa. Il ristoro del danno non patrimoniale determinato dal comportamento ostruzionistico del datore di lavoro può dunque essere accordato al lavoratore se è allegata e provata la concreta lesione in termini di violazione dell’integrità psico-fisica o di nocumento delle generali condizioni di vita personali e sociali. Non è, invece, risarcito il danno se vi è solo un generico riferimento allo stress conseguente alla suddetta condotta, trattandosi questa di un’affermazione del danno in re ipsa.

Licenziamento per gmo: non necessario provare andamento economico negativo

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 7 dicembre 2016, n. 25201, ha stabilito che, ai fini della legittimità del licenziamento individuale intimato per giustificato motivo oggettivo, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare e il giudice accertare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, tra le quali non è possibile escludere quelle dirette a una migliore efficienza gestionale ovvero un incremento della redditività dell’impresa, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa; ove però il licenziamento sia stato motivato richiamando l’esigenza di fare fronte a situazioni economiche sfavorevoli ovvero a spese notevoli di carattere straordinario, e in giudizio si accerti che la ragione indicata non sussiste, il recesso può risultare ingiustificato per una valutazione in concreto sulla mancanza di veridicità e sulla pretestuosità della causale addotta dall’imprenditore.

Licenziamento per giusta causa: valutazioni e criteri di giudizio

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 24 novembre 2016, n. 24030, ha stabilito che rientra tra le competenze del giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale, che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto a un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi, innanzitutto, rilievo alla configurazione che delle mancanze addebitate faccia la contrattazione collettiva, ma pure all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte dal dipendente e dalla qualifica rivestita, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto (e in specie alla sua durata e all’assenza o presenza di precedenti sanzioni), alla sua particolare natura e tipologia.