Licenziamento disciplinare per comportamenti minacciosi del dipendente

MINACCE –  LICENZIAMENTO DISCIPLINARE LEGITTIMO

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 2 settembre 2015, n.17435, ha stabilito che è legittimo il licenziamento disciplinare del lavoratore che abbia creato tensione all’interno dell’azienda ponendo in essere comportamenti minacciosi. Inoltre, il lavoratore non può limitarsi a dedurre in giudizio che la sua condotta era dovuta a un atteggiamento complessivamente persecutorio che ha subito e che ha avuto come ultimo evento l’espulsione. Il dipendente, infatti, ha l’onere di controdedurre le diverse contestazioni addotte dal datore di lavoro; diversamente, il lavoratore ammette i fatti addebitati.

La Corte di Cassazione ha pertanto confermato quanto già pronunciato dal giudice di secondo grado sia in considerazione della gravità dei fatti contestati e dell’implicita ammissione del lavoratore sia, infine, sulla base del contratto nazionale di categoria applicato nel caso concreto, che prevede il licenziamento senza preavviso per il comportamento minaccioso del dipendente.

Trasferimento e demansionamento: onere della prova a carico del lavoratore

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 25 settembre 2015, n.19044, ha stabilito che è onere della prova del ricorrente dimostrare che, a seguito del trasferimento da un ufficio a un altro da parte della Società, egli abbia subito un danno da demansionamento.

Secondo la Suprema Corte, infatti, il lavoratore deve dimostrare che vi sia stata l’effettiva diminuzione di caratura secondo un raffronto tra le mansioni svolte prima e quelle che si è trovato a svolgere in seguito, allegando altresì l’eventuale perdita di chance di ulteriore progressi nella carriera professionale.

Resta onere del datore di lavoro dimostrare di aver adempiuto secondo gli obblighi a lui spettanti, ma tale onere sussiste solo ove il dipendente abbia allegato sufficienti elementi che dimostrino la dequalificazione o demansionamento.

Ciò osservato, la Cassazione ha rigettato il ricorso in quanto, non essendo dimostrato il demansionamento, veniva altresì meno la tesi del movente discriminatorio del trasferimento e del mutamento di mansioni – peraltro il carattere persecutorio è stato negato dai testi.

Illecito grave del pubblico dipendente: contestazione entro 5 giorni

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 26 agosto 2015, n.17153, ha stabilito che per gli illeciti disciplinari di maggiore gravità, imputabili al pubblico impiegato, come quelli che comportano il licenziamento, l’art.55-bis, D.Lgs. n.165/01, contiene due previsioni: con la prima (co.3) è imposto al dirigente della struttura amministrativa in cui presta servizio l’impiegato la trasmissione degli atti all’ufficio disciplinare entro cinque giorni dalla notizia del fatto; con la seconda (co.4) si prescrive all’ufficio disciplinare la contestazione dell’addebito al dipendente con l’applicazione di un termine pari al doppio di quello stabilito nel co.2 (ossia quaranta giorni).

Lo stesso co.4 dice che la violazione dei termini di cui al presente comma comporta per l’amministrazione la decadenza dal potere disciplinare. Il termine posto dall’art.55-bis non è vanificato né viene irragionevolmente sacrificato l’interesse dell’impiegato alla sollecita definizione del procedimento disciplinare.

La Suprema Corte ha quindi sancito che il termine di cinque giorni ha scopo sollecitatorio, onde la sanzione disciplinare è illegittima se la trasmissione degli atti al dirigente venga ritardata in misura tale da rendere troppo difficile l’esercizio del diritto di difesa spettante all’incolpato ossia da rendere tardiva la contestazione dell’illecito.

CONTRATTO DI SOLIDARIETA’

Il D.Lgs. n.148/15 ridefinisce le causali di intervento (art.21) e di durata (art.22) del contratto di solidarietà.

Il contratto di solidarietà è stipulato dall’impresa attraverso accordi collettivi aziendali ai sensi dell’art.51, D.Lgs. n.81/15,che stabiliscono una riduzione dell’orario di lavoro al fine di evitare, in tutto o in parte, la riduzione o la dichiarazione di esubero del personale anche attraverso un suo più razionale impiego; in tale accordo devono essere specificate le modalità attraverso le quali l’impresa può modificare in aumento l’orario ridotto in caso di temporanee esigenze di maggior lavoro che comporta di conseguenza una corrispondente riduzione del trattamento di integrazione salariale.

La riduzione media oraria non può essere superiore al 60% dell’orario giornaliero, settimanale o mensile dei lavoratori interessati al contratto di solidarietà.

La riduzione complessiva dell’orario di lavoro per ciascun lavoratore non può essere superiore al 70% nell’arco dell’intero periodo in cui è in essere il contratto di solidarietà.

Il trattamento retributivo perso va determinato inizialmente non tenendo conto degli aumenti retributivi previsti da contratti collettivi aziendali nel periodo di 6 mesi antecedenti la stipula del contratto di solidarietà.

Il trattamento di integrazione salariale è ridotto in corrispondenza di eventuali successivi aumenti retributivi intervenuti in sede di contrattazione aziendale.

La durata massima del CdS è di 24 mesi, anche continuativi, in un quinquennio mobile.

È previsto eccezionalmente solo per tale causale una durata fino a 36 mesi, anche non continuativi, nel quinquennio mobile; il co.5, art.22, stabilisce, con l’esclusione delle imprese del settore edile e affini, che la durata dei trattamenti straordinari d’integrazione salariale concessi a seguito di un contratto di solidarietà entro il limite di 24 mesi, venga computata nella misura della metà.

Dimissioni volontarie e risoluzione consensuale dopo il D.Lgs. n.151/15

L’art.26 del decreto Semplificazioni ha riformato la modalità di effettuazione delle dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.

Al di fuori delle ipotesi delle dimissioni sospensivamente condizionate alla convalida presso la DTL, le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro saranno da effettuarsi, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche su appositi moduli resi disponibili dal Ministero del Lavoro attraverso il sito www.lavoro.gov.it e trasmessi al datore di lavoro e alla DTL competente con le modalità individuate con apposito decreto che dovrà essere emanato entro 90 giorni dall’entrata in vigore del D.Lgs. n.151/15 e che dovrà stabilire contenuti, modalità di trasmissione e standard tecnici utili a definire la data certa di trasmissione. Dal 60° giorno successivo all’entrata in vigore del suddetto decreto si applicheranno le nuove disposizioni.

Entro 7 giorni dalla trasmissione del modulo, il lavoratore potrà revocare le dimissioni e la risoluzione consensuale con le stesse modalità.

La trasmissione dei moduli potrà avvenire anche tramite patronati, OO.SS., Enti bilaterali e commissioni di certificazione.

Le disposizioni non si applicano al lavoro domestico e nel caso di dimissioni o risoluzione consensuale intervenute in sede protetta (art.2113, co.4, cod.civ.) o avanti le commissioni di certificazione (art.76, D.Lgs. n.276/03).

Salvo che il fatto costituisca reato, il datore di lavoro che alteri i moduli è punito con la sanzione amministrativa da € 5.000,00 a € 30.000,00; accertamento e irrogazione della sanzione sono di competenza delle DTL e si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni della L. n.689/81.

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